COSA RESTA
Monica Prisco
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 5 dicembre 2011
OÙ SOMMES-NOUS?
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Il fascino dell’assoluto ci trae in inganno!
Le maschere poggiate sul volto esplicitano la funzione gravitazionale di cui siamo preda.
Quasi mai predatori.
Nonostante i sussulti dell’ego spingano in direzione inversa e avversa.
E’ la maschera a dirigere il corso, a regolare tempi, luoghi e modalità d’esposizione.
Togliere la maschera implica un gesto netto e perentorio.
Uno strappo deciso.
Che tira via strati di pelle, tanto il volto è uso ad indossarla.
Talora neanche si stacca: non si trova il varco, il punto in cui l’aderenza fa difetto.
E si rimane così, sospesi in un dubbio di prima persona singolare, con un accenno di moto sulle labbra, ad adombrar qualcosa che non si sa bene, che si intuisce ma non si afferra.
Che è solo un vibrar d’ali, un anelito di vita che ci da le spalle e subito si rarefà.
Fintanto che non ci si decide per un tuffo, facciale, in una pozza d’acqua bollente.
Che tutte l’aderenze dissolve in vischiosi residui chimici.
E…cosa resta?
Quale residuale per l’interesse socio-culturale di chi sta a guardare?
Una colpevole immedesimazione?
Un’inconfessabile invidia per l’audace che ha osato?
Un al di là agognato dall’al di qua.
Una confortante riprovazione, piuttosto, inscritta nella circonferenza delle paure private, ben impastate nelle argomentazioni sociali.
Putride marciscenze, sfatte corone d’alloro su teste calve.
Che rimettono la maschera in eterni giochi d’andirivieni.
Ma che cosa resta in chi resta preda di deficienze organico-psichiche, amalgamate in una fascinosa alchimia allegorica, alla visione del sipario strappato?
In fondo, forse, resta il bisogno di solidarizzare, di unire un sentimento a un gesto, anche se il gesto era dell’altro; e allora magari dire e fare e puntare il dito sui passatismi del tempo e della maschera. Il bisogno di essere, andare altrove.
Il movimento verso.
Nello spazio dell’oggi categoricamente stretto nei confini del qui ed ora.
Un suicidio può servire a smascherare schemi desueti?
Trascorsismi inconsapevolmente rimestati nell’atroce magma dell’inconscio collettivo?
Un suicidio ego-stillante, garanzia d’alterità disgiunte dall’informe balbettare del sociale.
Per chi resta, anche.
Che possa cogliere sfumature, colori non nutriti a sufficienza, che col gesto estremo assurgono a metafore d’assoluto.
E il cerchio si ricompone nell’incessante andirivieni del già esperito, nuovamente da esperire.
Tracce di tonalità minori, un dito intinto in un gravoso benché gravido punto esclamativo. O interrogativo, che dir si voglia…
da sinistra: Tullio Catalano e Forniture a Corviale
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